venerdì 30 luglio 2004

Gaetano Iannuzzi

IN viaggio verso Atene, c'è un ragazzo che sei anni fa era in fin di vita. «Fu un incidente d'auto. Avevo la milza spappolata e un'emorragia interna». Gaetano Iannuzzi, timoniere dell'otto con, rimase 5 ore sotto i ferri e 8 giorni in coma. Il medico che lo salvò si chiamava Carlo Molinaro, quella sera era di guardia al Cardarelli: non sapeva che stava operando un Nazionale di canottaggio, lo sport che lui stesso aveva praticato da ragazzo. «E' cambiata la mia maniera di guardare la vita. Prima svegliarsi era normale, ora è meraviglioso». E' cambiata al punto che per tornare all'Olimpiade, due anni fa, Iannuzzi s'è licenziato. Faceva il rappresentante di materiale elettrico. Ha scelto la maglia della Nazionale.


«Le due cose insieme non andavano. «So che ritroverò un mondo del lavoro più chiuso di prima, ma in cima ai pensieri c'è quel pezzo di ferro che chiamano medaglia. Nei momenti difficili mi hanno aiutato la mia ragazza, Rosanna, e un socio del circolo, Roberto Di Leva. Lo rifarei anche adesso». E' un'ossessione che nasce dalla beffa di 4 anni fa, quando con l'otto giunse quarto a Sydney, perdendo il bronzo per 4 decimi di secondo. «Ciampi volle riceverci al Quirinale nonostante la sconfitta. Ho pianto per non so quanto tempo. Ma sono stati proprio quei 4 decimi a darmi la forza di programmare Atene». Con buone prospettive, anche se nel frattempo l'equipaggio è cambiato per sei ottavi. Si parte dal bronzo di giugno a Lucerna. «C'è più lavoro per me. Un timoniere deve saper creare l'armonia. Siamo tutti sulla stessa barca: il concetto è proprio questo. Il canottaggio m'ha insegnato cos'è un sacrificio, più di quanto sia riuscita a fare la scuola».
Un maestro l'ha avuto in barca, ed era il migliore di tutti. «Ho cominciato a fare il timoniere negli anni di Peppiniello Di Capua. Mi ha dato un mucchio di consigli». Oggi Peppiniello impasta e inforna biscotti nell'azienda di famiglia, il suo posto in Nazionale è di Iannuzzi, che non s'è mai tolto di dosso certi confronti. Anzi, un giorno gli hanno detto che doveva muoversi come Di Capua. In un film. «Raiuno girava una fiction sugli Abbagnale. Cercavano un interprete per il ruolo di Peppiniello. Il regista, Stefano Reali, voleva un atleta vero. Sosteneva che sarebbe stato più semplice insegnare a un timoniere come si recita, piuttosto che spiegare a un attore come si sta in barca». Finisce che Iannuzzi è Peppiniello. «Ho girato le mie scene in 26 giorni, nell'arco di 6 mesi di riprese. Siamo stati anche in Bulgaria. Bellissimo. Una cosa non capisco: come fanno gli attori a chiamarlo lavoro. Quella volta, con me, ce n'erano due all'esordio, Raul Bova e Sabrina Ferilli».
Napoletano di Portici, Iannuzzi viene dalla scuola del Posillipo. «Sono finito in barca per caso. Facevo nuoto in una società di San Giorgio a Cremano, per mettere su qualche muscolo. Avevo 16 anni e pesavo 38 chili. Un amico di famiglia insisteva: lascia stare la piscina, prova il canottaggio. Andai al provino del Posillipo per non sentirlo più. Furono bravi a mettermi subito in barca con un timone in mano, sin dal primo minuto. Così m'innamorai. Facemmo un giro, non avevo mai visto Napoli dal mare, non sapevo neppure cosa ci fosse dietro la collina di Posillipo». Amore a prima vista. Lasciò il nuoto perché il canottaggio non voleva rischiare che Iannuzzi si facesse il fisico. «Ancora oggi peso poco più di 50 chili. Il regolamento impone a un timoniere d'essere almeno sopra i 55, perciò devo sempre salire in barca con una zavorra. Non ho mai fatto una gara in vita mia senza il peso aggiuntivo. Mi sembra di non smettere mai d'imparare. Ho anche capito che qualche bugia serve. Dico in barca. In Canada, alle qualificazioni olimpiche, eravamo quasi fuori gioco. Non mi restava che un azzardo. Urlai ai ragazzi dell'equipaggio che finalmente stavamo rimontando sui nostri avversari, una grossa fesseria, ma loro erano di spalle, non potevano vedere. Però si caricarono e rimontammo davvero». Sull'otto con Iannuzzi debutta Aldo Tramontano, 23 anni nell'aprile scorso. S'è guadagnato le attenzioni del direttore La Mura col bronzo al Mondiale under 23 del 2000. Dice: «Quando arrivi in quest'ambiente, non lo lasci più». Per prepararsi ha dovuto mettere da parte per un po' gli studi di Giurisprudenza. «Non siamo mica ai college in Inghilterra. Siamo arretrati, il sistema impone barriere e ostacoli. Riprendo i libri dopo Atene. Il fascino dell' Olimpiade vale qualunque privazione. La beffa è che noi del canottaggio saremo a 70 km da Atene, e il Villaggio neppure lo vedremo». Quel Villaggio dove magari immaginava di spendere la sua zazzera bionda e i due metri d'altezza. «Acchiappare? Macché. Lasciamo perdere. Il canottaggio m'ha dato il fisico, però mi ha tolto il tempo e la forza per sfruttarlo».
Il colpo grosso col due senza è nei pensieri di Giuseppe De Vita, quartiere Soccavo, a pochi passi dalla casa del Calcio Napoli. Papà Pasquale ha giocato un paio di partite da attaccante in serie C con l'Internapoli. «Figurarsi se non mi spingeva verso il pallone, ma io sono negato. Mi iscrisse a una scuola calcio, cercavo mille scuse per non andare. Una volta mal di pancia, un'altra mal di gola. Non s'è arreso. Mi accompagnava al basket, al nuoto, al tennis. Voleva che facessi sport. Era socio all'Ilva, un giorno mi propose il canottaggio, e io pensai: proviamo pure questa». Colpo di fulmine. Un amore che papà ha provveduto a tener vivo, lavorando nella stessa banca di cui era diventato dipendente Giuseppe Abbagnale. «Aveva un amico in quella filiale. Si faceva mandare gli autografi di Giuseppe Abbagnale e me li portava a casa». De Vita ha vinto le ultime due regate internazionali di Lucerna. «Ma la mia è una gara strana: nascono equipaggi anche all'ultimo momento». In ritiro con la Nazionale, al Terminillo, s'è portato la chitarra elettrica. «Un casino. Suonavo "Stairway to Heaven", dei Led Zeppelin. Tutti a dire, bravo, dai, un' altra. Il guaio è che so fare solo quella, e non mi credevano. Si sono convinti quando ho dovuto suonare gli esercizi che mi assegna il maestro. Mi piacciono i Nirvana e i Gun's and Roses, ma sono fuori dalla mia portata».
Il veterano della squadra è Raffaello Leonardo, 31 anni, alla quarta Olimpiade in carriera: era sull'otto a Sydney e a Barcellona, sul quattro senza ad Atlanta, barca con cui ha vinto due mondiali. è arrivato al canottaggio dopo un malinteso. Fuori scuola si presentò l'allenatore del Posillipo, Mimmo Perna, a caccia di ragazzi da arruolare. Gli consegnò un volantino, ma Raffaello lo scambiò per un molestatore. Equivoci da commedia americana anni Cinquanta, poi il chiarimento e un futuro da campione. E' un'Olimpiade strana per Castellammare di Stabia, la prima senza un Abbagnale in gara dopo 24 anni. A Mosca '80 c'era Giuseppe, che a Los Angeles '84 cominciò la corsa all'oro accanto a Carmine, proseguita a Seul '88 e chiusa con la sconfitta d' argento di Barcellona '92, ma ad Atlanta '96 e a Sydney 2000 spuntò Agostino. Stavolta manca pure lui. Rimangono i nipotini, quelli acquisiti, i ragazzi cresciuti alla scuola dei fratelloni. Come Catello Amarante, 25 anni, un peso leggero: stava per smettere, dovette intervenire direttamente La Mura per spronarlo ad andare avanti. E' peso leggero anche Salvatore Amitrano, 29 anni, mentre sperano in un rimescolamento degli equipaggi e in una chiamata in extremis anche Palmisano, Valerio, Mulazzani e Dentale. Dalla flotta campana, una medaglia può venir fuori.

Repubblica Napoli, 29 luglio 2004

Nessun commento: