lunedì 26 luglio 2004

Massimiliano Rosolino


Questa è la storia di un bambino obeso che si trasforma in una stella. «Avevo sei anni quando arrivai a Napoli. Non capivo il dialetto e mi fregarono subito la bicicletta». Gli altri scugnizzi inghiottivano merendine, lui doveva andare a frutta e carote per dimagrire. Aveva messo un po' di chili dall'altra parte del mondo: mamma Carolyne, australiana di Montrose, quaranta minuti di macchina da Melbourne, aveva conosciuto papà Salvatore in crociera sull'Achille Lauro, e l'aveva sposato. «Sono diventato una loro miscela perfetta. La simpatia e il piacere d'improvvisare sono quelli di papà, l'ironia l'ho presa da mamma. Sono mezzo australiano, ma ho scoperto che noi napoletani sappiamo campare meglio di tanti altri».


Il nuoto è stato la strada per tornare smilzo, una scelta naturale per il figlio d'una perfetta signora australiana. Ed è stata la via per diventare Massimiliano Rosolino, il primo napoletano a vincere una medaglia d'oro olimpica nel nuoto. Era in finale ad Atlanta già nel '96, fresco diciottenne, ma sul podio c'è salito a Sydney, quasi casa sua, quattro anni dopo. Adesso Atene. Gli stimoli è andato ad assecondarli lontano dall'Italia. Rosolino è tornato alle sue radici allenandosi in Australia. «Sveglia alle cinque del mattino. Nuoto e palestra, poi cucinavo qualcosa per rilassarmi un po'. Altro allenamento di pomeriggio e massaggi». E' stata la sua vita austera per più di un anno, con la sola compagnia dei libri di Vasquez Montalban e dei cd dei Queen. Rosolino aspetta la seconda metà d'agosto per vederne i frutti. «E' stata una scelta di vita, non tutti l'hanno capito. Ho trovato professionalità, cura della tecnica e dei particolari. Sono molto cresciuto». E' dovuto fuggire lontano dalle esagerazioni in cui s'era trovato immerso dopo i trionfi in acqua, lontano da quelle celebrazioni che gli piacciono da morire. E' diventato un personaggio con frasi da anti-divo: «I soldi post-olimpici? Ho sempre la stessa auto. C'è solo più benzina da mettere dentro». E' stato chiamato dal Festival di Sanremo, da Laura Biagiotti per le sfilate e da Tinto Brass che voleva dargli una parte accanto ad Anna Galiena nel remake di Senso. E poi: una puntata di "Un posto al sole", una sceneggiatura che voleva farne il primo Tarzan italiano, un posto nel presepe, quel Rosolino statuetta in mezzo ai pastori di San Gregorio Armeno.
A certe attenzioni sopra le righe, sembrava abituato. Aveva 12 anni quando fece litigare due società per il suo tesseramento. La mattina dell'oro olimpico, il presidente della Canottieri interruppe un congresso di cardiochirurgia per dare la notizia ai colleghi medici riuniti. Ma quando un giorno Rosolino ha scoperto il suo nome nel verbale d'una procura, perché un pentito lo chiamava in ballo per storie di doping, allora ha avvertito una voglia nuova. Essere invisibile. All'improvviso, la voglia di sparire. Chiamò giornali e tv, e si presentò in giacca e cravatta. La prima volta in vita sua. «Era una cosa seria». Disse che non si sentiva protetto. Disse che poteva lasciare l'Italia. Oggi racconta: «La notizia mi turbò solo perché avrei voluto quella persona davanti a me. Subito. Per guardarlo dritto negli occhi. Ma non era possibile. Alle infamie e alle bugie ho preferito rispondere nell'unico modo che potevo, nuotando, coi risultati e con altre vittorie». S'è rigenerato nel semi anonimato che l'Australia gli ha garantito. Per un po' l'Australia ha finanche sperato di convincerlo a nuotare sotto la propria bandiera. Rosolàino, come lo chiamano laggiù, ha il doppio passaporto. «Non avrei mai voltato le spalle all'Italia, non scherziamo. Devo dire che l'hanno capito in fretta. Un conto è un confronto professionale, un altro conto è tradire». Gli avversari restano avversari: «Thorpe, Phelps, Hackett. Stanno venendo fuori anche dei giovani. Non trascuro e non sottovaluto nessuno, e neppure li temo. Io guarderò me stesso e i miei tempi, so di non essere uno dei tanti».
Eccolo qua, lo spaccamontagne, il ragazzo che nel tempo ha smantellato la prudente monotonia con cui i colleghi di Nazionale riempivano le loro frasi. Erano i giorni in cui Max confessava di resistere alla noia delle bracciate solitarie con un chiodo fisso nella testa. «Quando nuoto in piscina - raccontava qualche anno fa - non ci sono onde, e mi sento Dio. Perché penso alle ragazze. L'amore è una carica in più, con un neo: non dura all'infinito». Una passione che ha fatto convivere con la dura legge degli allenamenti: «Non credo che per divertirsi si debbano fare le tre di notte». Gli ronzavano intorno. «Mi piace fare il frescone», ammetteva lui. E' diventata celebre una gaffe, una frase buttata lì dopo una delle tante vittorie: «Vorrei uscire con la Marcuzzi», legittimo, solo che la Marcuzzi aspettava un figlio da Simone Inzaghi. «Ops, non lo sapevo: chiedo scusa». Gli ronzavano intorno, oggi non più. E se gli ronzano, Max non vede. Le copertine dedicate agli intrighi rosa raccontano che ormai è felice accanto a Roberta Capua, la signora della tv del mattino, napoletana anomala e verace come lui. Ma questo è un argomento che l'imbarazza. «Perché 'sta domanda se voglio diventare padre? Maturità mi sembra ancora una parola grossa... Per ora scrivi solo che mi sento pronto ad affrontare la pressione di un'Olimpiade da campione in carica, okay?». Non è uno che s'è montato la testa, e ora non farebbe più in tempo. Ha consegnato con fiducia tutti i suoi interessi fra le mani di Rosario Cammarota, un amico prima ancora che un manager, uno che l'ha visto crescere alla Canottieri Napoli, il circolo che s'è dovuto privare di Rosolino per motivi di bilancio. Ora ha un traguardo enorme e uno sfizio da togliersi. «Voglio un'altra medaglia ai Giochi e voglio guidare la Ferrari». Poi verrà l'ora per altri progetti. Il cinema preme per assoldarlo, come già fece con altri nuotatori: Johnny Weissmuller, Bud Spencer e Raoul Bova. «Nooo, niente paragoni. Io sono più bello».

Repubblica Napoli, 25 luglio 2004

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