lunedì 10 maggio 2010

Gilmar e il petto su cui andò a piangere Pelé

I miei primi Mondiali, cinque anni dopo aver debuttato in nazionale al posto di Castilho. La sfortuna non esiste. Prende vita solo per accanirsi su chi crede che ci sia. Io e il mio 13 dietro la schiena uscimmo dal campo senza prendere gol dopo la prima partita contro l'Austria. E dopo la seconda con l'Inghilterra. E dopo la terza con l'Urss. E dopo la quarta con il Galles.  La mia voce dentro lo spogliatoio era la più ascoltata. Per questo mi permisi di dire a Italo Feola, il nostro ct, che in attacco bisognava osare un po' di più.
Non lo mettere quel numero, Gilmar, mi dicevano i compagni. Non lo mettere che porta sfortuna. Avevo la maglia con il 13 ai Mondiali in Svezia. Come se a me potesse importare qualcosa della magia, della scaramanzia e dell'irrazionalità.

gilmar   

 Avevamo lasciato in panchina nelle prime due partite il ragazzino delle meraviglie, Pelé. Facciamolo giocare con Didì e Vavà, gli dissi, proviamolo al posto di Altafini, il nostro centravanti titolare. Si faceva chiamare Mazola, una zeta, in omaggio a Valentino che non c'era più da nove anni. Feola mi ascoltò. Tolse Altafini e mise Pelé dalla terza partita. Contro l'Unione Sovietica. E' andata così. Il mito dell'Urss non esiste più, quello di Pelé non morirà mai. E iniziò il grande Brasile. Quando arrivammo a giocare la finale con la Svezia, scoprii che alla scaramanzia un piccolo conto lo devi sempre pagare. Erano i padroni di casa e scelsero di giocare con la maglia gialla. Dovevamo cambiare la nostra. I dirigenti della federcalcio corsero in un negozio di Stoccolma a comprarne di nuove, le presero blu, ma blu era anche la mia. L'unica che poteva non confondersi era in magazzino, però aveva il numero 3 dietro la schiena. Eh no, Gilmar, dissero i ragazzi, adesso che siamo arrivati fin qui con il tuo tredici, il tredici te lo tieni. Inventati qualcosa. Tagliai il numero uno da una maglia di riserva e lo incollai accanto al tre. Fatto. Cinque a due per noi. Campioni del mondo. Ma queste sono cose in cui non credo. I numeri, le stelle, le macumbe. Io credo ai dettagli. In Svezia vidi che i portieri delle altre squadre indossavano pantaloncini corti. Diamine, perché? Noi in Brasile avevamo l'abitudine di portarli lunghi, fin giù alle caviglie, per proteggerci meglio. Un motivo ci sarà. Li voglio corti anch'io, dissi allora ai dirigenti. Che ti prende, Gilmar? Mi prende che quelli lunghi mi graffiano le gambe, mi impediscono di tuffarmi come vorrei. Il dottore della nazionale mi aiutò. Sostenne che i pantaloni lunghi limitavano la circolazione. Mi diedero i corti, non ho cambiato più. E con me, da quel giorno, tutti i portieri brasiliani.

gilma2  Seguite questa catena. Lo spettacolo più bello del mondo è il calcio. Il calcio più bello è cominciato col Brasile. Il Brasile più bello è cominciato con Pelé. La formazione del Brasile di Pelé cominciava col mio nome: Gilmar-De Sordi-Nilton Santos. Io sono stato lo spettacolo più bello del mondo. Io che andavo alle feste e ai ricevimenti, che male c'è? Mi piaceva piacere. Anche in campo. Era arrivata la tv, volevo che i miei gesti e le mie parate venissero riprese bene. Un tempo il Brasile metteva in porta i ragazzi che non sapevano giocare a pallone. Dopo di me in porta ha messo dei portieri. Ho giocato fino a 39 anni, avevo riflessi rapidi, ero agile. Stile classico, per capirci. Ho giocato con il Corinthians e con il Santos, ho vinto la Libertadores e due Coppe intercontinentali. Una volta il ragazzino Pelé andò anche in porta al posto mio: ero stato espulso. Dieci anni di differenza tra me e lui. Eravamo campioni del mondo da qualche istante e venne a poggiare la sua testa sul mio petto, venne a piangere lì, sulla mia maglia. Ero come un suo fratello più grande. Ho visto gli inglesi impazzire perché non riuscivano a farmi gol. Ho visto da vicino le finte di Garrincha. Ho visto le lacrime del nostro terzino destro De Sordi, infortunato in semifinale. Ho visto Pelé, quattro anni dopo, ai Mondiali del '62, farsi male contro la Cecoslovacchia e saltare tutto il mondiale. Ho visto Amarildo fare il fenomeno al posto suo. Ho alzato la coppa del mondo per la seconda volta, e sono tuttora l'unico portiere a esserci riuscito. Quattro anni dopo c'ero ancora. 1966. Ho visto il bulgaro Zecev saltare sul ginocchio di Pelé. Ho visto l'Ungheria farci tre gol, gli ultimi che ho preso in un mondiale. Ho visto l'unico Brasile uscito al primo turno in un mondiale. Ho giocato 94 volte con la maglia della nazionale e sono uscito di scena. Io che sono stato Dos Santos Neves, figlio di Gilberto e di Maria. Gil e Mar. Io che sono stato Gilmar.

Nel 2013, fra agosto e novembre, sono scomparsi quasi insieme Gilmar-De Sordi-Nilton Santos.

(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Gilmar sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti).

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