martedì 29 novembre 2011

Le barriere di Zico

Mondiali 1978. Una punizione di Zico contro la Spagna


Tutta la vita ad aggirare barriere. «Una volta segno una punizione fuori casa, e la gente allo stadio mi chiede il bis. Gli avversari mi guardano e fanno: come possiamo batterti se pure i nostri fanno il tifo per te?». Adesso si chiama Iraq l' ultima barriera di Arthur Antunes Coimbra, l' uomo che non ha mai smesso di essere Zico. «Quando mi hanno offerto la loro nazionale, mi è parsa la sfida che da tanto desideravo. Portare una squadra che tre anni fa neppure esisteva ai mondiali 2014 in Brasile, casa mia».

Giugno scorso. Tre bambini morti su un campetto di calcio a Jihad, quartiere meridionale di Baghdad. Due bombe, loro stavano solo giocando a pallone. Come giocavano a pallone gli altri nove uccisi nel 2006 ai giardinetti del rione Amil, e i tre di Abu Dshir, e i 12 al parco di Ramadi. È qui che ad agosto hanno chiamato Zico. «A Baghdad ci sono stato due giorni per firmare il contratto e poi mai più. Non ho casa lì, non vivo in Iraq. Non mi è possibile. Il nord e il sud del Paese sono forse tranquilli, Baghdad no, ha ancora problemi. Mi hanno detto che non avrei avuto neppure la libertà di camminare in strada». Abita in Brasile, 12mila km di volo ogni volta che va a sedersi in panchina. Il campionato iracheno è ripreso, Zico non ha un posto in tribuna. «I miei giocatori li guardo in dvd, la federazione mi spedisce i filmati, ogni tanto mi fanno da osservatori il preparatore atletico e mio fratello Edu». Edu Antunes dell'Iraq è stato il direttore tecnico nel 1986, quando arrivò la prima, storica e unica qualificazione della squadra a un mondiale. Il paese era in guerra con l'Iran, i convocati per il Messico protetti in allenamento da mura alte due metri, tutto il calcio iracheno sorvegliato da Uday Hussein, il figlio del raìs. Torture e minacce agli atleti, condanne a morte per un autogol, giocatori frustati con cavi d'acciaio, come ha raccontato Simon Freeman in "Baghdad Football Club".


In quel Messico '86 Zico aveva la 10 del Brasile sulle spalle, il massimo che poteva capitargli era sbagliare un rigore con la Francia. «Conosco bene la storia dell'Iraq e di questa nazionale, mi sta molto a cuore». Una storia nota anche alla Fifa, che all'epoca di Saddam ignorava gli allarmi e si voltava dall'altra parte, ma che nel 2008 ha cancellato l'Iraq da ogni manifestazione per un anno, decisione replicata nel novembre 2009 per le ingerenze del governo nel calcio. La riammissione definitiva quattro mesi dopo: tardi per andare ai mondiali in Sudafrica. Meglio pensare in anticipo al 2014 e al Brasile, si sono detti a Baghdad, così il filo ha condotto a Zico. «Ho conosciuto i ragazzi della squadra a quattro giorni dal debutto nelle qualificazioni». Iraq contro Giordania, il 2 settembre scorso, lo stadio è quello di Erbil, città curda, 320 km a nord di Baghdad. L'erba è quella che è, la sicurezza pure. «Sono stati commessi degli errori, quel giorno», racconta Zico, «un campo brutto, spogliatoi inadeguati». E quando la partita finisce, Iraq battuto 2-0, la Fifa piazza un'altra barriera davanti a Zico. Stop alle partite a Erbil. Mancano «i requisiti specifici a livello strutturale, tecnico, organizzativo e operativo». Pazienza se è il solo posto che l'intero Paese possa offrire alla comunità internazionale del pallone. Lo stadio di Baghdad è fuori gioco. «Troppi rischi». In guerra gli americani lo usavano come parcheggio dei carri armati. I ragazzi di Zico devono trovarsene uno all'estero, le partite in casa diventano in campo neutro. Però funziona. Barriera aggirata. Arrivano quattro vittorie di fila. A Singapore 2-0: «Ho riunito la squadra cinque giorni prima». A Shenzhen 1-0 con la Cina: «Lì ci siamo visti con dieci giorni d'anticipo». Un altro 1-0 alla Cina sul neutro di Doha, nel Qatar del mondiale 2022. Poi il 3-1 ad Amman con la Giordania, e qualificazione alla fase finale asiatica con una partita d' anticipo. «Ora avremo più tranquillità per conoscerci. Ai Giochi arabi metterò in campo i calciatori che ho visto meno».

Si comincia il 13 dicembre a Doha contro il Bahrein. « Cinque dei miei giocano nel campionato del Qatar, quattro in Iran, uno in Egitto». Il calcio ha prodotto profughi, negli ultimi anni di Saddam. Quando il ct era Bernd Stange, tedesco di Sassonia, un passato da informatore della Stasi nella Germania dell' est, nome in codice Kurt Wegner, delatore dei suoi stessi giocatori. Ma Zico adesso pensa ai suoi. «Quelli rimasti in Iraq ai raduni sono i meno sereni. Alcuni direi che sono proprio spaventati. Ma sono lottatori e col pallone ci sanno fare. Ho una squadra tecnica, i bei campi ci favoriscono. Purtroppo sette-otto di loro avranno 33-34 anni nel 2014, e ricambi non ne vedo. Parlo in portoghese, c'è sempre un interprete accanto a me». Per accompagnare l'Iraq a Rio, il ct pendolare dovrà scavalcare un altro girone. «Se potremo giocare le nostre partite in Qatar, prenderò casa a Doha, staremo più tempo insieme. Conosco le rivali. Sud Corea, Iran, Australia, il Giappone di Zaccheroni. Ma il calcio spesso sorprende, e il calcio è calcio ovunque. Pure in Iraq».

(la Repubblica, 28 novembre 2011)

Nessun commento: