giovedì 23 gennaio 2014

Cruyff e il calcio secondo Dalì

Josep Samitier era soprannominato l'uomo aragosta. Per i suoi salti, le sue acrobazie, per i tiri al volo folli quanto i dribbling. Era stato acquistato dal Barcellona a 17 anni per un vestito e un orologio. Emilio Sagi Liñán, attaccante, anche lui arrivato nel club ancora ragazzino, era invece figlio del più grande baritono spagnolo d'inizio Novecento, Sagi Barbo. Emilio e Josep da piccoli andavano in vacanza in Costa Brava, a Cadaqués giocavano a calcio con un terzo amico, il figlio di un notaio, un bambino di nome Salvador. Salvador Dalí.







Poi ognuno ha preso la sua strada. Emilio e Josep campioni di Spagna, le Coppe vinte, la chiamata in nazionale. Salvador alla Residencia de Estudiantes di Madrid e all'Accademia delle belle arti, con Buñuel e Garcia Lorca, poi a Parigi. "Il calcio? Non ne so nulla", gli piaceva far credere, almeno quanto gli era piaciuto da ragazzo giocare in porta. Raccontò di vestire con coppola, pantaloni larghi e guanti solo per somigliare a Ricardo Zamora, idolo della sua infanzia. Nel 1974 il Barcellona si rivolge a lui per un'immagine (a lato) che celebrasse il settantacinquesimo anniversario del club. Tre anni dopo un altro club catalano, maglia gialla e rossa, i colori dell'autonomia regionale, contatta Salvador Dalì per ottenere il suo aiuto. Lui ascolta e accetta, per tirare il piccolo Sant Andreu fuori dalla crisi finanziaria dipinge "Gol" in un solo giorno e lo dona alla squadra. Uno dei vicepresidenti del Sant Andreu mette in vendita l'opera, con 4 milioni di pesetas dell'epoca salvano i conti. Un'offerta superiore era arrivata dal console del Paraguay, ma nessuno voleva che il quadro lasciasse la Spagna.


Quando nel '77 il Sant Andreu aggiusta in questo modo i suoi bilanci, il giornalista Ricard Maxenches del Mundo Deportivo si presenta a casa Dalí per strappargli un'intervista. Dalí lo respinge inizialmente, spiegando di essere nudo nel suo appartamento alla ricerca d'ispirazione, in serata però accetta di parlare del suo rapporto con il calcio e con il Barcellona. Maxenches prende appunti, Dalí gli chiede di smettere. "Tenga le mie parole a mente, la mente trattiene solo la bellezza". Era quello il Barça di Rinus Michels, l'uomo che aveva inventato l'Ajax del calcio totale e che stava portando le sue idee anche in Spagna. Le stava imponendo con i suoi assi olandesi. Neeskens a centrocampo e soprattutto con Johann Cruijff in attacco. Johann ha trent'anni, ha già vinto i suoi 3 Palloni d'oro e ha giocato una finale mondiale. E' il numero uno. Ricard Maxenches domanda a Dalí: - Lo conosce? Risposta: "Chi è? Qualcuno che nel calcio è come me nella pittura? Mi pare di averne sentito parlare e di averlo visto in qualche fotografia". Il giornalista insiste: - Preferirebbe essere Cruijff o Dalí? A quel punto Dalì si informa sull'età di Cruijff. E risponde: "Vorrei avere i trent'anni di Cruijff e il genio di Dalí". E ancora: "Non vorrei essere il presidente del Barcellona, ma vorrei tanto poter sedere in uno dei palchi dello stadio, per conoscere finalmente una persona come questo Cruijff di cui tanti mi parlano".


Nel 1986 il suo ultimo omaggio al calcio, e allo stesso tempo alla sua città e alla sua squadra del cuore. Per l'inaugurazione dello stadio di Figueres, con l'amichevole Figueres-Barcellona, Dalí disegnerà il manifesto della partita.

Tre anni dopo, il 23 gennaio del 1989, Salvador Dalí muore a 84 anni nella sua casa a Figueres, ascoltando Tristano e Isotta di Wagner.

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