martedì 30 settembre 2014

La tripletta di Ekdal e la domenica della vita


C'È GENTE che per anni si allaccia prima una scarpa e poi l'altra, sta attenta a non calpestare le righe, strappa ciuffi d'erba all'entrata in campo. Cose così. Ce ne sono tanti che perdono la salute a orientare gli eventi e dribblare il caso, si impegnano nell'iterazione dei loro gesti con l'illusione di garantirsi in copia conforme ogni giorno che passa, forse convinti che rivivere e replicare sia un modello di felicità. Poi alle quattro di una domenica pomeriggio, passa da San Siro uno svedese che non è Ibra e smaschera le miserie della scaramanzia. Che è per forza roba da conservatori. Del resto se anche Ekdal avesse un rito per far scorrere la sua vita come sempre, non segnerebbe tre gol a San Siro tutti insieme, visto che in genere non ne fa più di uno all'anno. Oppure un rito ce l'avrà anche lui, ma evidentemente non funziona.

mercoledì 24 settembre 2014

Il volo all'antica di Sorrentino


AL MODO in cui cadere pensi dopo, prima viene il volo, che è sempre un po' la scelta della disperazione. La tecnica te l'hanno insegnata anni e anni fa, ma in quell'istante non sai dove sia finita. A parte l'istinto, insomma, non ti rimane niente. Eppure a volte basta. Di certo basta a Stefano Sorrentino, che di domenica sera pesca dalla memoria del corpo l'impulso del colpo di reni, all'età di anni 35, quando la tribù dei sedentari d'Italia comincia semmai a fare i conti con il colpo della strega. Succede che Guarin, con Palermo- Inter ormai al capolinea, metta un pallone dolce al centro dell'area. Succede che Osvaldo su quel pallone ci arrivi con la testa nel miglior modo possibile, solo, elastico, i fotografi tutti per lui, libero e bello, definitivamente rock. E mentre la palombella che ne viene fuori copre il tragitto di metri otto, non di più, verso la porta, Sorrentino scopre di essere troppo dietro per uscire in presa alta e un poco avanti rispetto alla traversa. Ma è il posto giusto in cui trovarsi quando non c'è più niente da fare se non lanciarsi, this must be the place, in volo, e vediamo che succede.

domenica 21 settembre 2014

Zeman al posto di Scopigno

DORME ancora in una delle 16 camere della club house di Assemini, al campo, ma cerca casa di fronte al mare. Il Poetto, non distante dalle vie in cui passeggiano Riva, Brugnera, Tomasini, la fetta del grande Cagliari che ha scelto di restare qui per sempre. Zeman si sta aprendo alla Sardegna, la Sardegna sta entrando dentro Zeman. La sua faccia è sui cartelloni pubblicitari, frasi in lingua sarda, la speranza che qualcosa di nuovo con lui succeda, ora che la pagina Cellino è voltata. «Non so se ci credono come ci credo io» brontola Zeman. Roma è lontana, una grossa delusione da andare a guardare negli occhi. Domani.
Zeman, adesso non dica che è una partita come le altre.
«Non lo è. È la partita fra la mia squadra e quella della città in cui abito da 20 anni. Ma senza rivalsa».

mercoledì 17 settembre 2014

Ménez e la trappola del colpo di tacco

A ESSERE pignoli, quel punto lì sarebbe il tallone. Ma il tallone evoca Achille, richiama una debolezza, non è che faccia tanto chic. Chiamarlo gol di tallone ammazzerebbe l'enfasi, vuoi mettere invece con il tacco? È un atto speciale già per questo, non sarà mai volgare come segnare di testa, di piede o finanche con la mano. È il solo gol che rinunci a essere definito con una parte del corpo, perché umano non è, non del tutto, con il tacco siamo già nel campo dell'estetica. Chiedetelo a una donna, il tacco dà eleganza, allunga la gamba, sfila il polpaccio. E dunque "tacco 7", Jeremy Ménez, è l'ultimo della galleria. Del gesto propone una versione contemporanea, urlata, esagerata.

lunedì 15 settembre 2014

Il tacco di Ménez mai esistito

menez
Ti balla un pallone davanti ai piedi, l'attaccante dietro di te ti mette ansia e devi sbrigarti. Hai sì e no un secondo per stabilire se appoggiare la palla al portiere o buttarla via. In calcio d'angolo, in fallo laterale, in tribuna, ovunque, come vuoi, come capita. Hai un secondo, uno solo, per prendere una decisione. Ti chiami Stefan Ristovski, e ovviamente la decisione la sbagli. Tocco all'indietro, la palla che si ferma, come spalmata di colla all'improvviso, il tuo portiere se la guarda e alla fine sbuca lui. L'attaccante. Si infila derisorio lungo il tragitto, tocca la palla d'esterno per dribblare il portiere e va a riprendersela dall'altra parte, aggirando il tapino lungo il fianco opposto, come negli anni '80 faceva sulle fasce sinistre d'Italia Luciano Marangon, ancora terzino e non un esterno basso.

sabato 13 settembre 2014

Il nuovo garagista

Il mio nuovo garagista, nel senso che ho un nuovo garage, non che sia venuto un nuovo custode nel vecchio garage; ecco, il mio nuovo garagista in genere se ne sta seduto all'aperto, all'ingresso, su una piccola sedia in legno, prima della discesa. E' un uomo sulla settantina, si chiama Ferdinando, romano mi dice, ma con un accento neutro, anche se a me viene di chiamarlo come se fossimo a Napoli. Non per posa ma per istinto, forse perché sfoggia una faccia molto compatibile con tutto questo. Se ve lo volete immaginare, dovete pensare a James Cagney. Uno James Cagney con gli occhialini parcheggiati proprio sulla punta del naso.
Come andiamo don Ferdinando?, e lui risponde con due parole che non cambia mai.
"Tutto procede" dice.
Sempre uguale.
"Tutto procede".
Una specie di Eraclito, a modo suo, straordinario nella scelta di un verbo tanto dinamico a fronte di questa sua posa statica, di questo suo esercizio inerte a guardia di una platea di macchina e di moto ferme, laggiù, immobili, alla fine della discesa.
"Tutto procede". Anche senza di noi.

venerdì 12 settembre 2014

Le undici virtù del leader

VENTITRÉ righe su Mourinho. «Se Guardiola è Mozart, Mourinho è Salieri: sarebbe un gran musicista, se non esistesse Mozart». Zac. Il colpo di Jorge Valdano, campione del mondo con l'Argentina del 1986, poi allenatore e d.g. del Real Madrid, casca sull'antico rivale alle ultime pagine del nuovo libro, "Le undici virtù del leader" (158 pagine, Isbn edizioni, 19 euro), in uscita oggi. «Non gli ho mai sentito dire, sia in pubblico sia in privato, una sola frase calcistica degna di essere ricordata. L'intelligenza e l'ego sono nemici fra loro. E quando si scontrano, vince l'ego». Che i due non si siano mai piaciuti è cosa nota, Valdano lasciò il lavoro per non dover calpestare lo stesso pavimento di Mourinho. A dirla tutta, forse disprezzerebbe Salieri anche se non esistesse Mozart. Ma fermarsi a queste 23 righe significherebbe tradire la natura del lavoro dell'argentino, un'analisi profondissima, quasi filosofica, sul senso del carisma nel calcio.

giovedì 11 settembre 2014

Rione Traiano 1976-2014

La chiesa, al rione Traiano che ha ottantamila abitanti, funziona da sei anni. E' sorta al posto di una serie di "locali impropri" che venivano usati per le funzioni religiose. Una vita difficile fin dall'inizio. Il Traiano doveva essere un quartiere satellite nella zona flegrea a nord di Napoli ed invece è diventato un ghetto per le famiglie che hanno dovuto abbandonare i vicoli del "ventre molle" della città. La platea della parrocchia comprende impiegati, operai, muratori, ambulanti e dal 23 novembre '80 tre campi di terremotati divisi fra containers e prefabbricati pesanti. La malavita organizzata recluta qui manovalanza, diffusa è la droga. "Una forma di fuga dalla vita, un fatto esistenziale più che un traffico per guadagnare", precisa il parroco. (Ermanno Corsi, la Repubblica, 10 agosto 1984)

Il criterio con cui è stato sfruttato il rione Traiano si conferma così ogni giorno di più come l’esempio di come non si debba costruire un complesso popolare. E sono ancora una volta gli stessi abitanti che, di fronte ad uno stato di abbandono cui è stato lasciato il rione da venti anni, acquistano coscienza sempre maggiore della gravità della situazione. Intanto, la popolazione vive una situazione insostenibile. (Valeria Alinovi, l’Unità, 5 dicembre 1976)


mercoledì 10 settembre 2014

De Biasi, il figlio del paese delle favole

GIANNI De Biasi quando parla dell'Albania dice «lì da noi». Se ne accorge e ride. Saranno tre anni di lavoro a gennaio, ma adesso comincia proprio a divertirsi. Dopo i play-off per i Mondiali sfiorati, è andato a vincere in Portogallo la prima partita di qualificazione agli Europei. «Ecco, lì da noi ora sono tutti convinti che passeremo. Mi preoccupa. Perché rilassarsi è nel carattere degli albanesi, perfino più che per gli italiani. Ma siamo in un girone dell'horror. Farei a cambio con chiunque. Non bastava il Portogallo, a ottobre ci aspettano la Danimarca e la Serbia, peraltro 15 anni dopo la guerra in Kosovo».