martedì 27 gennaio 2015

Addio Agbonavbare, il portiere facchino che provò a salvare sua moglie


"I giorni del calcio sono finiti. Ora devo lavorare e lavorare, la vita è dura", disse Wilfred Agbonavbare, che andava in campo sorridendo e sorridendo ne era rimasto fuori. La tv spagnola scoprì per caso che era finito a lavorare come portapacchi all’aeroporto di Barajas, dopo aver fatto consegne per una macelleria. "Sono famoso, e allora?", rispose a un finto facchino che il programma El jefe infiltrado de La Sexta aveva intrufolato lì con una camera. "Ho bisogno di soldi", mormorò, e non perché quelli guadagnati da calciatore li avesse sperperati: erano finiti tutti, disperatamente spesi per provare a guarire la povera moglie da un cancro al seno.
  Portieri stranieri in Spagna, almeno fino all’introduzione della legge Bosman, ce n’erano stati pochissimi. N’Kono all’Espanyol, Badou al Maiorca, lui in serie B al Rayo Vallecano. La promozione in A lo aveva fatto diventare un idolo vero al quartiere Vallecas, il nido della terza squadra di Madrid, dove aveva scelto anche di vivere, in un piccolissimo appartamento. I tifosi lo invitavano a cena al ristorante El Faro.

vallecas   "Ai miei tempi non giravano così tanti soldi nel calcio, ora con due campionati diventerei ricchissimo. Mi era chiaro che dopo il calcio avrei dovuto fare altro per spedire soldi in Nigeria ai miei figli. Sono dieci anni che non torno e non li vedo", raccontò quella volta alla tv, "il mio sogno è aprire lì una scuola calcio". La Sexta gli regalò i biglietti per il viaggio, la storia di Agbonavbare è stata poi spolpata dalle pagine di gossip, mentre in silenzio e senza più telecamere attorno piano piano si ammalava. la galleria fotografica di As
  Oggi il rayismo piange il suo campione, non ce l’ha fatta, Agbonavbare è morto in povertà, in un ospedale di Alcalá de Henares, con un carico di ricordi (era in panchina ai Mondiali del 1994 quando Baggio ribaltò la partita ed eliminò la Nigeria) e consapevole di essere ancora amato. Quattro anni fa, il Rayo lo aveva voluto in campo durante l’intervallo della partita con la Real Sociedad, l’ultimo applauso, nella giornata contro il razzismo. I compagni di squadra di un tempo hanno provato a coinvolgerlo nelle partite dei veterani. Agbonavbare è andato due volte, poi s'è scusato e ha detto basta. "Non voleva saperne più nulla, era troppo preso dalla necessità di lavorare", racconta Jesùs Diego Cota a Marca online. "Mi diceva: sembri mio padre". Michel era stato in ospedale la settimana scorsa. Carmen Martinez, ottantacinquenne tifosa, aveva deciso proprio giorni fa di devolvere al portiere di un tempo parte dei ventunomila euro ricevuti a sua volta come sostegno dal club, per estinguere un’ipoteca sulla casa. E il Rayo stava provando a organizzare un viaggio di rientro in Spagna per i figli, perché potessero riabbracciarlo. Una serie di problemi burocratici hanno fermato il volo dell’ultimo saluto, da venerdì scorso sono bloccati all’aeroporto di Lagos. “Riposa Willy”, si legge ora sulla pagina d’apertura del sito del Rayo.

(il nome di Agbonavbare è citato nella canzone “Nessuno allo stadio” di Elio e le storie tese)

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