mercoledì 14 gennaio 2015

Dal selfie al groufie, Totti nel segno di Parola

selfieCHE poi, a dirla tutta, questo non è neanche un selfie. Il selfie, voce di popolo, è passato di moda. Appena entrato nella lingua italiana (dizionario Zingarelli 2015) è già diventato roba per anziani. I giovani casomai fanno il groufie. L'autoscatto di gruppo. Più siete, meglio viene. Ellen DeGeneres sul palco degli Oscar credeva d'aver messo dietro di sé un gruppetto da record. Sbagliato. Totti nel suo ci ha infilato l'intera curva Sud, più un fotografo in campo medio con la pettorina numero 9. Esagerato.
Esagerato come il suo volo d'un attimo prima, un gesto che a 38 anni e 3 mesi se non sei Totti ti fa finire dritto al centro traumatologico. Una spaccata, quasi una mezza rovesciata, c'è chi la chiama bicicletta, ma si fa prima a dire "alla Parola".


Parola Carlo, soprannominato "Gauloise" da Giovanni Arpino per via della voce roca da fumo francese. Calciatore potente e raffinato, numero 5. Per intendersi, in Italia quando apparve Beckenbauer si disse: «Sembra Parola». Il 15 gennaio del '50, senza Sky e neppure la Rai, a 10 minuti dalla fine di un Fiorentina-Juve, Parola ferma "alla Totti" un lancio di Magli per il centravanti Pandolfini. Oooh, fanno allo stadio. Il giorno dopo su "La Stampa" Vittorio Pozzo scrive: «Parola giganteggiava, così sicuro del fatto suo da conferire fermezza a tutto il blocco difensivo ». Non essendo ancora nato Steve Jobs, e senza telecamere frontali sugli smartphone, lo scatto che nel '50 diffonde l'impresa al mondo è di Corrado Banchi, fotografo fiorentino, accovacciato in una buca dietro la porta della Juve.

Gli danno tremila lire, avrebbe raccontato, e poi più nulla, mai più, neppure per aver ispirato la bustina delle figurine Panini: la foto era diventata un disegno. Un giorno gli presentano Parola e quello neppure gli crede. Banchi deve andare a prendere i negativi e mostrarglieli. Almeno con un selfie non c'è questo pericolo. Ora, la Panini farà della bicicletta di Totti una delle figurine speciali da distribuire alla fine del girone d'andata, mentre i pionieri del selfie in campo (Dwier, Lewandowski, Szczesny) rivendicano il copyright dell'esultanza da social, quell'autoscatto che un poco sa di narcisismo e solitudine. Effettivamente nell'attacco della Roma un po' da solo Totti deve essersi sentito. Nel giorno in cui Parola morì, 22 marzo del 2000, aveva 24 anni e si preparava proprio a un derby. La Lazio viaggiava verso lo scudetto, lui scriveva un comunicato per smentire certe voci sul suo addio: «Nessuna illazione potrà spostare la mia determinazione di restare alla Roma». Il Milan preparava 120 miliardi di lire, il Real un contratto da 8 miliardi a campionato. Inutile. Capello, che aveva visto Parola «toccare la traversa con i piedi con una sforbiciata », chiese altri campioni per vincere. Arrivarono. Vinsero. Roma aspetta da allora. Quindici anni e alcune decine di derby dopo, l'autoscatto di Totti è più testimonianza che narcisismo. In 17 minuti s'è tolto 17 anni di dosso, con un piatto nell'angolo e poi con quel colpo lì, mentre intorno si mormorava già. È un peso, vecchio come un selfie, invece stava diventando un tipo da groufie, stava per ribaltare il derby rovesciando se stesso. Totti sfida la maledizione di Mazzarri con il titolo della sua autobiografia e spera che per la Roma «il meglio debba ancora venire». Lotito invece si lancia: «Scommetto la mia presidenza che la Roma non vince lo scudetto. Quel selfie è stato inopportuno ». Sorridete. Clic.

  (la Repubblica, 13 gennaio 2015)

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