mercoledì 6 maggio 2015

Il calcio dei piccoli segreti

EPPURE sappiamo tutto di tutti. Conosciamo le sovrapposizioni dei terzini del Crystal Palace, come difende sui calci d'angolo il Paderborn e possiamo guardare in streaming le qualificazioni mondiali del Bhutan. Ma al settimo minuto del secondo tempo di Inter-Chievo, in mezzo a questo scambio globale di informazioni sui mille modi in cui un pallone rotola, Mancini sente di avere ancora un segreto da nascondere all'altra panchina. Entra Podolski, e con lui in campo entra pure un bigliettino. Come dalle cartucciere dei diciottenni all'esame di maturità, sbuca il foglietto salvi-tutti. Arriva tra le mani di Medel che legge il messaggio, fa due segni ai compagni e poi appallottola le istruzioni. Va detto: con sprezzo del pericolo. Che ne sai se qualcuno lo recupera e risale alle preziose informazioni. Meglio ingoiarlo, la prossima volta.
Per definizione l'allenatore urlava. Tu qua, lui là, in difesa mettiamoci a quattro. Cose così. Piccole e normali. A Trapattoni non passava per la testa di fischiare con il codice Morse. Ma più si è diffusa la conoscenza, più si è radicata l'ossessione per il segreto. Come avere le foto su Facebook e pretendere che nessuno le veda. Fanno quasi tenerezza le spie di un secolo fa. Quando l'Uruguay venne per la prima volta in Europa, gli jugoslavi ne mandarono un paio all'allenamento. Galeano racconta che quelli se ne accorsero e cominciarono a prendere a calci il terreno, a sparare il pallone in cielo, a inciampare per finta. Le spie tornarono a casa con una certa sicumera e l'Uruguay vinse per 7-0. Ma siamo al pleistocene del genere, la battaglia col tempo si è raffinata. Stramaccioni all'Inter chiese che la Pinetina fosse circondata da una ventina di palloni gonfiabili come schermo, già Mourinho aveva visto persone arrampicarsi sugli alberi là attorno. Guardiola ha fatto spendere 80mila euro al Bayern per la costruzione di una barricata. Napoli e Juve sfiorarono l'incidente diplomatico prima della Supercoppa a Pechino due anni fa, quando Conte scoprì uomini di Mazzarri dietro un cespuglio. La Samp beccò sul fatto il preparatore dei portieri del Genoa che calato nella parte, vestito in mimetica, sbirciava schemi. Sul sito Internet, meraviglioso contrasto, la Samp svelò tutto al mondo: «Nessun prigioniero, il soldato dell'altra sponda è stato lasciato libero di tornare alla base». Si travestiva pure Natale Bianchedi, spia personale di Sacchi, «occhiali scuri e bavero del soprabito rialzato», ha raccontato Arrigo nell'autobiografia. Mancini aveva sperimentato il metodo in Inghilterra e Turchia, dove se non altro c'erano ostacoli di lingua. Stavolta l'urgenza era non farsi sentire da Maran. C'è pure il turnover dei messaggeri. Contro la Juve il bigliettino finì a Ranocchia, con la Fiorentina a Campagnaro. Certe volte passa di mano in mano. Per fortuna l'uomo è spiritoso e spiega tutto con ironia: «Cosa c'è scritto? Noi siamo quelli blu». Esiste perfino il mistero del "dopo", come mostrano i tanti che escono dal campo con la mano a proteggere il labiale, gli ultimi Higuain e Benitez dopo il 3-0 al Milan. «Avere dei segreti», come intuì Edward Forster, «presenta questo inconveniente: perdiamo il senso delle proporzioni». Però shhh, non lo dite a nessuno.

(la Repubblica, 5 maggio 2015)

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