domenica 13 settembre 2015

Il ritiro di Flavia Pennetta: pensieri e parole

abbra "Lasciami dire ancora una cosa"  

Ecco, ci siamo. Adesso lo dico. Fabio lo sa. Lo sa da tanto. Lo sa da quando a inizio anno abbiamo cominciato la nuova avventura, una nuova stagione, un nuovo giro del mondo, i tornei, gli alberghi, i ristoranti. Ogni volta che finiva New York ci pensavo. Questo è l'ultimo. Poi proseguivo. Ora è vero, ora è tutto vero, sparo questa verità in faccia al mondo con una Coppa in mano. Anche Roberta lo sa. L'ho battuta e gliel'ho detto, poco fa, prima, a bordo campo, mentre lei si copriva le labbra con l'asciugamano per dirmi tu sei matta, tu sei sempre stata completamente matta. Forse ha ragione lei, forse ci vuole più follia che ragione per andarsene così. Per questo non lo fa quasi nessuno. Io non la chiamo follia, io lo chiamo sentimento.
"Prima che iniziasse il torneo, un mese fa, ho preso una grande decisione per la mia vita".  

Spero di reggere. Spero che non mi venga da piangere. Rovinerei tutto. Insomma. Le lacrime sono là. Credo che si vedano. Sono ingabbiate, in fondo alla gola. Ci metterebbero un attimo ad arrampicarsi agli occhi. Basterà niente a far saltare la diga. Basterà un applauso più forte, oppure qualcuno che si alzerà in tribuna a urlare Noooo. Devo resistere. Resisterò. Sono forte, io. Sono forte perché ho conosciuto la fragilità, l'ho guardata in faccia e l'ho domata. Per anni ho avuto di fronte a me, dall'altra parte delle rete, solo donne in cui non mi riconoscevo. Super. Potenti. Rotonde. Io invece amo gli spigoli. Gli spigoli separano un "qua" da un "là". Mi spaventano queste donne che non perdono mai la concentrazione, non perdono mai il controllo, non hanno mai paura, né di perdere né di vincere. Ora parlo e mi viene in mente Anna Floris. La mia prima grande avversaria. I capelli lunghi, la sua coda, il suo completino rosa, la sua aggressività. Anna era mancina. Mi batteva sempre. Chissà dov'è Anna, adesso. Cosa fa. Dove vive. Chi ha sposato. Se ha figli. Se ha rimpianti. Se ha visto la partita. Se ha mai pensato che ho vissuto al posto suo. Se ha mai saputo che invece quel che ha lei, io non l'ho avuto mai. "Questo è il modo più bello per dire goodbye al tennis. Sì, voglio dire... voglio dire...". Ecco, adesso è fatta. E' finita. Devo solo restare sorridente. Goodbye, arrivederci, e non addio. Benedetto l'inglese e l'Europa del nord. Se avessi parlato in italiano, sarei finita dritta dentro il melodramma. Goodbye, invece. E' profondo ma leggero. La superficialità è sottovalutata. Puf. Il peso non c'è più. Come non c'era più la voglia di cercare da qualche parte dentro di me la grinta. Sparita. Introvabile. Perduta. Ci pensavo l'altra notte, quando non riuscivo a prender sonno. Curioso che la mia ultima avversaria prima di uno Slam sia stata proprio un'amica. E' il dipinto perfetto di questo gioco e di come lo vivo adesso. Dall'altra parte della rete può trovarsi la persona che ti è più cara, un fratello, una sorella, e tu devi batterla. Senza essere cattiva sai che non ci riuscirai. Come avranno fatto Venus e Serena in tutti questi anni? Stasera lo so: stasera che ho giocato per togliere la Coppa che più desiderava e un milione e mezzo di dollari a una ragazza con cui ho diviso la camera, i giorni e i sogni. Robertina, ora sorridi, lo vedo. Ma c'è un posto dentro di te, laggiù, inconfessabile, dove mi stai odiando. Lo avevi messo in conto quando hai abbracciato il tennis, come lo avevo messo in conto io.

"Non dovete fare così. Sono felice. E' tutto quello che desiderano i giocatori, chiudere così, con un trofeo del genere".  
Penso a chi mi starà invidiando. Forse Valentino. Dico Valentino Rossi. Forse un'uscita di scena così la stava immaginando per sé. Vincere un altro Mondiale e andarsene. Adesso magari è davanti alla tv che pensa: ma tu guarda questa, mi ha soffiato l'idea. Potrà anche farlo tra qualche mese in Malesia, e comunque gli diranno: Rossi come la Pennetta. E Roger? Roger lo starà progettando da anni. Uno Slam, uno Slam ancora, oppure l'oro olimpico di Rio, e poi filarsela. Sparire. Sparire quando la gente ti ama ancora. Come Mina. Come Lucio Battisti. Andarsene. Andarsene non è scappare. Andarsene è ricominciare, rinunciare a un altro giro fra i soldi degli sponsor per riprendersi un pezzo di vita, forse dovrei dire che è cominciare a darne un pezzetto agli altri, smettendo di starsene da soli nella propria metà del campo. Lasciare il tennis è smettere di vivere come una parte di qualcosa. Lasciare il tennis è farla finita con la solitudine. Sono stata così sola da non aver neppure potuto approfondire la conoscenza della solitudine. Il fatto è che mi piace ancora stare in campo, allenarmi, mi piace sentire il suono della palla sul piatto della racchetta, il ritmo, il battito di questo cuore tondo e giallo sulle corde. Mi piace sentire la maglietta che si bagna, la fatica che mi gela col sudore, la stanchezza che diventa pace dopo una doccia. Mi piace così tanto che quella voglio, la pace, dopo mille e altre battaglie. Sono sempre andata più su, ogni anno di più, un po' alla volta, quando succede non lo apprezzi, vorresti tutto subito, quando succede non lo capisci. Ti spingi in alto, ma mai così in alto, tanto da chiederti ogni volta quando toccherà veramente a te. Non so come dirlo, ma c'è sempre qualcosa che pare ti manchi, anche se hai messo da parte nove milioni di dollari. Ai soldi non pensi quando giochi, c'è solo la palla, e la devi mandare di là. Ho girato il mondo e ho visto solo circoli di tennis. Ho respirato dentro una bolla fatta di diritti e rovesci, smorzate e volée. Lo volevo, è stata la mia vita, ma adesso è il momento di tornare da me stessa, di tornare a casa. Questo mi va di dire stasera, che c'è sempre tempo per tornare a casa.

 

I pensieri e le parole attribuiti qui a Flavia Pennetta nel momento dell'addio sono una libera interpretazione basata anche su interviste e su brani della sua autobiografia "Dritto al cuore" (Mondadori).

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