mercoledì 7 ottobre 2015

Questo lo avrei segnato anch'io

correasamaHo provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio (Samuel Beckett)

Larghezza della porta: sette metri e trentadue. Altezza: due metri e quarantaquattro. Specchio: quasi diciotto metri quadrati. Peso del pallone: quattrocento grammi circa. Lo hanno prodotto in pelle sintetica saldata a caldo proprio per valorizzare il tocco, la camera d’aria è in lattice e fibra di carbonio, i colori sono accesi per favorire il colpo d’occhio. Distanza dalla linea: due metri e mezzo al massimo. Possibilità di sbagliare: nessuna. E invece patatrac. Il pallone esce. Sulla testa di Carlos Joaquín Correa, ventuno anni, ragazzo pagato dalla Samp 10 milioni di dollari perché forse è il nuovo Verón o forse il nuovo Pastore, fiorisce un fumetto addolorato: “Come ho fatto?”. Mentre sulla testa di quelli che guardano, allo stadio e in tv, ne spunta un altro più trucido: “Questo l’avrei segnato anch’io”. Dove anch’io significa: io che non so giocare. I mancini aggiungono per ulteriore sfregio che lo avrebbero fatto di destro, i destrorsi col sinistro, mentre proprio Correa che calcia con tutt’e due i piedi l’ha mandata laggiù, a porta vuota, che poveraccio. Beati quelli che sbagliano, perché ci fanno sentire migliori.
Seduti sui nostri divani, avremmo saputo come portare in vantaggio la Sampdoria contro l’Inter, e avremmo anche saputo come parare al posto di Buffon, o come mettere in campo il Milan se solo Berlusconi lo avesse affidato a noi. Noi che svolgiamo sempre in modo infallibile il lavoro degli altri. Sapremmo come amministrare una città o come far rigare dritto i dipendenti pubblici, noi sapremmo evitare scemenze sulla seconda guerra mondiale se ci dessero la fascia di miss Italia e certo non saremmo scappati da quella famosa nave che affondava. Solo che una volta svegli al mattino, facendo la barba davanti allo specchio, non si può fare a meno di notare che la fascia di miss Italia non ce l’hanno data e mai nessuno ci darà il suo voto per parlare. Tanto vale sistemare il mondo dalla nostra pagina facebook. Ti ci devi trovare, davanti a una porta vuota, con le gambe piombate di fatica e un velo sugli occhi, per capire che in realtà la porta vuota non esiste mai. È un inganno, un’illusione ottica, è un luogo comune che va benissimo per una metafora, finché con l’obiettivo spalancato non si scopre che esistono ostacoli più grossi delle spalle di un portiere. Tipo: l’ansia, la fretta, la paura.

"Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l'ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto". (Michael Jordan)

Nelle faccende quotidiane c’è più disordine che in un foglio Excel. Tre mesi fa girava in rete il video di un bambino turco che dopo aver messo la palla sul palo si toglie la maglia e scoppia a piangere fra le braccia dell'allenatore. Ma inconsolabili sono stati di volta in volta Balotelli (il video del suo errore), Giaccherini (molto simile a Correa), Muntari. Il Napoli buttò via uno scudetto possibile nel 1981 anche perché contro il Perugia, ormai retrocesso, Claudio Pellegrini incocciò il palo dalla distanza di un centimetro (il video).  Su YouTube la galleria è infinita. La stringa “errore a porta vuota” su Google restituisce centoseimila risultati. Troppi perché possa trattarsi di un evento raro. Del resto il mondo è pieno di reparti d’ortopedia in cui è stato ingessato un braccio destro al posto di uno sinistro, di pinze da venti centimetri lasciate nelle pance dei pazienti, di economisti che sbagliano calcoli banali, di ingegneri della Nasa che dimenticano di convertire la libbra-forza in newton mandando a sbriciolarsi nello spazio una sonda costata 125 milioni di dollari. Fumetto successivo: “Come ho fatto?”. E chi lo sa. Dopo, da lontano, noi sapevamo sempre tutto prima. Ma sbaglia a porta vuota solo chi davanti alla porta ci arriva. Per non dire del fatto che a volte grazie a un errore si scopre l’America, oppure nasce il gorgonzola. Ma la prossima volta, giovane Correa, buttala dentro. Per favore, almeno tu.

  (pezzo uscito in origine su Repubblica martedì 6 ottobre e qui in versione rieditata per il blog)

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