mercoledì 3 febbraio 2016

Essere Insigne, essere Totti


LA lezione è semplice. Mai disperarsi quando salta un affare di mercato. Se ad agosto fosse arrivato il trequartista chiesto da Sarri, uno fra Soriano e Saponara, oggi il Napoli non conoscerebbe un Insigne così. Uno che prima serve a Higuaín «un pallone su cui c’è scritto: basta spingere» (copyright di Pablito Rossi, Mundial ’82, gol alla Polonia su cross di Bruno Conti) e poi pitta un calcio di punizione che a volergli cercare un modello il San Paolo saprebbe dove andare a parare. Il San Paolo sì, Skorupski no. Perciò a questo punto del campionato, dopo dieci gol e più assist di tutti in serie A (nove), il dubbio comincia a diffondersi: Insigne non sarà diventato per caso il miglior giocatore italiano?
La punizione del 2-1 all'Empoli
La punizione del 2-1 all'Empoli
Forse sì, ma per caso no. Se fosse un pugile, coi suoi cinquantasette chili sarebbe un peso piuma, eppure per muoversi con questa nuova leggerezza ha dovuto fare il giro delle sue fragilità e dei suoi limiti. Zeman gli insegnò a puntare la porta, 19 gol un anno a Foggia e 18 a Pescara. Da Mazzarri, che lo vedeva riserva di Pandev, ha imparato l’arte di aspettare il proprio turno; da Prandelli, in Brasile, a rimanere integro dopo un processo: «Mi aspettavo di più» disse il c.t. del suo Mondiale, 25 minuti in tutto contro Costa Rica. Con Benítez ha imparato a inseguire un terzino, con Sarri a essere se stesso. Senza più zavorre, tipo essere napoletano a Napoli: impresa cento volte più audace che diventare Bergomi all’Inter, Marchisio alla Juve o Totti a Roma. Ci sono posti in cui l’origine è un valore, altri in cui è un esame, eterno, se la tua scalata è iniziata dallo scalino più basso. Totti vive in un guscio d’affetto, Insigne sotto una cappa d’attesa. Non si può essere romanista senza sprofondare in Totti, senza sentirsi rappresentato da ogni suo alito, in ogni istante. Come si fa a considerare estraneo, un altro rispetto a sé, l'uomo che a quarant'anni invecchia sereno e lieve su una panchina, come al parco, e come al parco giocando con un ragazzino, un raccattapalle del Sassuolo, per poi "fare la goccia" sulla testa del compagno Pjanic, sentendosi ancora quello delle gite di scuola media, quello del mural gigante sulla facciata dell'istituto Pascoli, largo Pannonia, via Gallia, le strade della spensieratezza. Essere Totti significa esserlo restando in pace con se stesso, prima che con il mondo.
Si può essere del Napoli, invece, e tenere comunque in piedi una barriera verso Insigne, anzi verso i tanti Insigne che ci provano e spendono gli anni della loro gioventù per arrampicarsi e affrancarsi da qualcosa. Lui, alla fine, le barriere le aggira. Ma agli Insigne si chiede sempre di dimostrare. Essere Insigne implica uno sforzo. Essere Insigne certe volte significa farsene una colpa. Il carattere sarà, mettiamoci pure quello. Ferrara e Cannavaro appartenevano alla categoria Totò: solari, simpatici, battutisti. Insigne è napoletano del ceppo opposto, stirpe Troisi: cupo, malinconico, perfino afasico. Salì sul palco, in ritiro, e respinse il microfono con cui volevano che parlasse alla folla. «Anche in dialetto, su», credetterlo di incoraggiarlo, e lui rimase zitto. La folla fischiò, la folla ama i miracoli. Così come lo hanno fischiato mentre veniva sostituito con l’Athletic Bilbao e con la Lazio. La prima volta reagì gettando via la maglia, la seconda agitando una mano nell’aria. Polemiche, tweet della moglie (“Non lo meritate”), l’antica accusa salita dal popolo di essere stato da bimbo juventino, per via di un poster di Del Piero che aveva in camera. Quando stava per accadere di nuovo, due mesi fa - Napoli-Palermo, lui furioso per il cambio - Sarri ha indovinato il registro giusto: «Non deve scusarsi con me, ma coi compagni: a loro ha mancato di rispetto».
«Dategli la 10 che fu di Maradona», ha azzardato il presidente d’una volta Ferlaino. Un altro peso? No, grazie, meglio la leggerezza. Alla Totti. Finalmente. Troppo brullo e aspro per essere un Del Piero, troppo napoletano per piacere altrove senza distinguo, Insigne pare un Cassano riuscito male: non ingrassa, non insulta il presidente, non ha chiamato suo figlio Lionel. Meglio Carmine. I due hanno in comune un’irragionevole passione per le canzoni di Gigi D’Alessio e sono amici, cosa che al c.t. Conte deve sembrare un’aggravante, un ostacolo in più per il ritorno di Lorenzo in Nazionale. Rispetto al Cassano ventiquattrenne, Lorenzo è in ritardo di uno scudetto, di qualche tatuaggio e di molti casini. Ma il genio spesso è brado, e come disse Ian Rush solo noi italiani chiediamo ai calciatori cosa pensano della politica estera. Altrove si fanno meno problemi. “Perché dalle nostre Academy escono pochi Insigne?” si domandarono gli inglesi del Telegraph dopo aver visto la sua fantasia all'opera nell’Under 21. E comunque per gli snob: D’Alessio s'è diplomato in pianoforte e in composizione. Conosce Chopin meglio di noi.

(versione aggiornata di un pezzo uscito su la Repubblica il 2 febbraio 2016)

Nessun commento: