venerdì 11 marzo 2016

I pentimenti di Zamparini


LA lettera aperta è un classico. Non vive di fascino, ma di necessità. In genere prende una sua via pubblica perché altrimenti in privato il destinatario te la tirerebbe sulla faccia. Per questo Maurizio Zamparini, a 75 anni, ieri ha recuperato carta e penna (forse tastiera e schermo) e ne ha scritta una ai suoi tifosi con sprezzo del pericolo. Sintesi: «Aiutiamoci, siamo sulla stessa barca». La metafora è bivalente: il presidente la offre come invito a remare da una parte sola, a Palermo la accolgono come l'occasione giusta per mandarlo naufrago.
Di Zamparini si possono conoscere con certezza i giorni trascorsi nell'ambiente: diecimila quattrocento ottantuno. Si fa più fatica a tenere il conto degli allenatori cambiati. Chi ci prova, finisce per arrendersi dinanzi a dilemmi di un certo rilievo filosofico: se un esonerato viene richiamato in panchina, e poi di nuovo mandato via, alla fine quanti ne vale? Un giorno definì Mutti «più bravo di Mourinho», tre mesi dopo era finita. «Ballardini? Voglio blindarlo». Solo che non aggiunse dove. Ma lui non mente. È solo un tipo che cambia idea. Questo poi è un anno da record. È riuscito a esonerare due allenatori in poche ore, dopo la sconfitta con la Fiorentina, a inizio gennaio. Allontanò Ballardini, chiamò Iachini per restituirgli la panchina, ci litigò durante la telefonata, lo cacciò al volo e riprese Ballardini. Meglio di un gol in rovesciata. Walter Novellino è il settimo a libro paga quest'anno. 

Finire sotto le forbici di Zamparini è un'esperienza che non sfregia. La metti in conto quando firmi. È toccata al futuro vincitore di uno scudetto e c.t. del Giappone campione d'Asia (Zaccheroni), al futuro c.t. dell'Italia vicecampione d'Europa (Prandelli), a un allenatore arrivato in Premier (Guidolin), a uno scelto dalla Juve (Delneri), al c.t. dell'Under 21 finalista agli Europei (Mangia). Ma nessuno potrà togliere ad Aldo Cerantola il vanto di essere stato il primo: Venezia, 1988. Oggi ha 66 anni e fa l'osservatore per il Cittadella. Racconta al telefono che «fu giusto, avevo perso cinque partite, ma già all'epoca diceva di saperne, d'aver giocato a calcio, bah, al massimo sarà successo all'oratorio. Adesso, dopo trent'anni che è nel giro, si sarà convinto d'essere stato lui un giorno a creare il Padreterno».

Il nonno di Zamparini era capostazione a Sevigliana, Friuli. La leggenda vuole che il primo pallone in paese fosse un regalo per il piccolo Maurizio. Deve essere nato lì il vizio di voler fare la formazione, tu giochi, tu no. Suo padre, di ritorno dal Venezuela, comprò il 50% di un'officina alla Bovisa. «Si chiamava Canali &C.", raccontò una volta ai giornali Zamparini, «ma quella C non gli piaceva. Che cosa vuol dire? Io sono Armando Zamparini, non C». E la sciolse. Esonerati tutti. Cos'è il dna. È certo di averci rimesso 200 miliardi di lire a Venezia, ma nel 2002 prese il Palermo per 15 milioni di euro da Sensi, dopo essere stato incerto se comprare il Bologna, il Napoli o il Genoa, insomma quel che c'era. Due anni fa il censimento del suo impero comprendeva una quarantina di partecipazioni in società sparse per l'Italia, con sedi in Croazia, Lussemburgo, Austria. È un perito meccanico dipinto come abilissimo nello zig zag fra aziende agricole e centri commerciali, venduti ai francesi per 430 milioni. Con i calciatori del Palermo si stima che ne abbia incassati circa 350. La politica l'ha tentato.

La destra lo voleva al Senato, «ma non sono né di destra né di sinistra, sono liberale ». La casta, le tasse, Roma ladrona: sono gli slogan su cui ha fondato il "Movimento per la gente". È in radio che dà il meglio di sé, l'ultima volta ha litigato con Storace. Ha chiamato l'Inter "Banda Bassotti" e ha detto sei anni prima di Calciopoli che sarebbe servita una tangentopoli del pallone. Il punto è che Zamparini ha in odio il potere, e se il potere gli pare seduto in panchina, risolve a modo suo. Solo una volta ammette d'aver sbagliato. «L'esonero di Pioli. Mi sto ancora mangiando un testicolo». Perciò un altro pentimento non se lo può permettere.

(la Repubblica, 11 marzo 2016)

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