giovedì 28 aprile 2016

Il 120° minuto di Miguel Reina

MIGUEL aspettava solo che passasse il tempo. Il tabellone all'Heysel aveva l'orologio fermo. Luis Aragonés, l'uomo che da ct avrebbe inventato la Spagna tiki-taka, aveva fatto gol su punizione, e dalla panchina urlavano che era questione di secondi. L'Atlético stava battendo il Bayern, stava per vincere la Coppa dei Campioni, 15 maggio 1974. E invece. «Invece arriva questo pallone dalla fascia sui piedi di Schwarzenbeck. Lui non voleva tirare. O meglio: non sapeva cosa fare, e allora tirò. Avanzava, senza sapere a chi darla. Gli avevamo chiuso tutti gli spazi». Quasi tutti. Miguel Reina era in porta. Aveva una foresta di gambe davanti. Il tiro lo vide solo arrivare. Anzi, lo vide passare. Gol al 120'. All'epoca non s'andava ai rigori. «Altrimenti sarei potuto diventare io l'eroe, chissà. Sono invece passato alla storia senza desiderarlo. Un portiere sa che dietro c'è il nulla. È un ruolo di esercizio e sacerdozio». Storia di un trauma irrisolto. Su quell'1-1 raccolto a 11 secondi dalla fine, il Bayern costruì il 4-0 nella ripetizione di due giorni dopo e tre trionfi di fila. Come s'usava allora, nelle foto alza la Coppa vestendo le maglie degli sconfitti, mentre per l'Atlético iniziava la leggenda dei colchoneros passione e disfatte. Fino alla rivoluzione di Simeone.

Non si sono più incontrate fino a stasera. Reina ha 70 anni e vive a Córdoba, dove aveva esordito facendo insieme il portiere e il cuoco in un hotel. Dice che «Simeone promuove i valori dei miei tempi: umiltà, costanza, impegno. Io sono la smentita al detto che dell'Atlético si nasce. Io lo sono diventato. Da bambino tifavo Barcellona, il mio idolo era Ramallets, e quando mi sono infilato la sua maglia mi pareva un sogno. Ma quando ho conosciuto l'Atlético, non ci sono stati altri colori». Il suo (1966-1973) era un Barça poco glorioso, schiavo del vittimismo e del complesso di Madrid. Reina fece il record d'imbattibilità (824') e se ne andò. Due soci in un negozio di pelletteria lo avevano mandato in rovina, vendette due case e un ristorante. Il Barça gli negò un anticipo sugli ingaggi futuri. Vicente Calderón, a Madrid, lo accolse con 5 anni di stipendi subito. «Ora, seguendo mio figlio Pepe, vedo che il Napoli è un altro Atlético. Stessa identità popolare. Il calcio è prima sentimento».
Il Reina colchonero vinse la Liga del ‘77. Anche in politica s'è tolto la giubba catalana. È stato assessore a Córdoba per i Popolari ed è convinto che sia «una minoranza a chiedere l'indipendenza. Guardiola? Un grande. Ma non sarà facile». Proprio Guardiola volle Pep al Bayern. «Uno scherzo fatto dal calcio alla mia famiglia. Schwarzenbeck l'ho rivisto una volta: un anniversario della partita». Il tedesco ha un'edicola a Monaco e non rilascia volentieri interviste. Il giornale "Kicker" lo ha definito il calciatore più umile della storia. Due anni fa accettò di ricordare il suo ‘74 per la federazione: «Tirai senza pensare. Se ho nostalgia, riguardo il video. Ma vivo benissimo così, appartato. Sarebbe stato meglio se avesse fatto gol Gerd Müller. Sapeva parlare. Io, quando finiva la partita, pensavo a quella dopo». Il Müller d'oggi, Thomas, lo ha inutilmente invitato al Calderón. L'Atlético ha smarrito un'altra Coppa allo stesso modo nel 2014, col Real. Gol nel finale, di nuovo il numero 4, Ramos alla Schwarzenbeck. Stasera fissa negli occhi il suo fantasma per tornare in finale senza aspettare altri 40 anni.

(uscito su Repubblica il 27 aprile 2016)

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