mercoledì 27 aprile 2016

Simeone e Guardiola, la guerra dei mondi

MADRID - Vederli di fronte, stasera, è un atto naturale. È un contrasto antico quanto il calcio. Hanno dato il loro nome a uno stile. Esiste il Cholo Simeone ed esiste il cholismo: la corsa, il pressing alto, il totem della maglia sudata. Esiste Pep Guardiola ed esiste il guardiolismo: il possesso palla, i passaggi corti, le accelerazioni. Uno è testa, l'altro è croce. Uno è la battaglia, l'altro è l'estetica. Uno è il coraggio, l'altro è il tocco. Forse non esistono oggi due persone più distanti e due concezioni del calcio più lontane, a questi livelli.

IL GIOCATORE TIPO - Simeone concepisce un calcio in cui si può fare a meno delle stelle. L'Atlético in questi quattro anni gliene ha vendute diverse. Non devono mancargli invece gli operai, ai quali chiede sacrificio in cambio di una valorizzazione totale. Il simbolo è Koke, da lui definito un tuttocampista. Può stare a destra, a sinistra, al centro. Può puntare l'uomo o essere puntato con lo stesso esito: prevale lui. Koke è pressing o libertà secondo la fase di gioco in cui si trova. È l'incarnazione del pilastro ideologico difensivo di Simeone: far spostare la palla agli avversari nella zona di campo in cui meno daranno fastidio. Frase di Simeone: "Non vince chi ha i migliori soldati, ma chi li usa meglio". Nel calcio reticolare di Guardiola, soprattutto nelle fasi in cui si fa ipnotico, emerge l'uomo che brucia il ritmo e sa cambiare passo. L'esempio supremo negli anni di Barcellona è stato Messi, adoperato da centravanti camuffato. "I migliori giocano al centro", diceva Pep. In una serie di conferenze tenute in Argentina spiegò: "I giocatori giocano, Leo dipinge. Non mi è costato convincerlo a passare dalla fascia destra al centro. Ha imparato subito. Tu lo metti terzino e lui impara. È il miglior difensore che esista. Se si mette nella testa di rubare la palla, lui va e la ruba. Non conosco nessuno che lo faccia meglio di lui". Arrivato al Bayern si fece comprare Götze per riprodurre l'originale, imbattendosi poi nella lussuosa variante di Lewandowski. Al City ne avrà più d'uno, con quel cambio di passo. E già si fa strada Patrick Roberts, 19 anni, enfaticamente "il Messi inglese", mandato in prestito al Celtic affinché Pep lo trovi pronto.

I MAESTRI - Eppure, paradossalmente, Simeone e Guardiola hanno matrici differenti ma un maestro in comune. È nel calcio argentino che bisogna individuare la cellula madre. Il primo è uno dei figli delle idee di Bilardo, secondo cui il necessario viene prima del bello. L'altro è più vicino a Menotti, a un calcio che si fa filosofia, è riflessione su se stesso, è valorizzazione delle individualità all'interno di un quadro. Ma tutt'e due sono emersi subendo il fascino di Bielsa. Simeone è stato uno dei capitani dell'Argentina utopistica e super offensiva che Bielsa provò a proporre ai Mondiali del 2002. Era uno dei suoi leader, un rapporto personale strettissimo. Da Bielsa ha ereditato l'ossessione per lo studio dei rivali, le analisi al video, la vocazione a tempo pieno per il mestiere. Guardiola definisce Bielsa il miglior allenatore del pianeta. Come lui, pensa che si debba arrivare alla vittoria attraverso il gioco, anzi attraverso il dominio dell'avversario. La leggenda vuole che Pep abbia capito cosa volesse da se stesso dopo un incontro di alcune ore in Argentina con "El loco", in casa sua. Ma gli otto anni trascorsi con Cruijff sono già motivo sufficiente a spiegare che allenatore è diventato.

LA POLITICA - Guardiola non ha mai nascosto il suo impegno per la causa dell'indipendentismo catalano. Negli studi di un programma tv, anni Novanta, il calcio fu il pretesto per incontrare Lluís Llach e Miquel Martí i Pol, cantautore e poeta, bandiere dell'anti-franchismo e della diffusione della lingua catalana come ribellione alla dittatura. Le sue uscite pubbliche in favore della Catalogna autonoma si sono moltiplicate negli anni. Le sue idee hanno influenzato molti dei calciatori del Barça. "Ho giocato per la Spagna perché queste sono le leggi", ha detto una volta. Di Simeone si ricorda invece l'incontro nel Natale del 2014 con Pablo Iglesias, il leader di Podemos. Lo slogan dell'allenatore "partita dopo partita" trovò una traduzione politica in "voto dopo voto". Secondo la ricostruzione di Mundo Deportivo, Simeone parlò di Barcellona e Real in termini di "casta" e suggerì a Iglesias di tagliarsi i capelli "per non sembrare un hippy guevarista" e di lasciar perdere il viola perché ricorda troppo la chiesa e i cardinali.

IL LOOK - Ecco, il look. A Iglesias, Simeone avrebbe pure consigliato di vestire di nero, come da tempo fa sempre lui in panchina. Portare il nero, secondo il cholismo, è segno di rispetto per le proprie azioni, per quel che si fa. All'eleganza è sensibile Guardiola. Testa rasata, barba di qualche giorno, una predilezione per gli stilisti italiani. Il maglioncino grigio è la tendenza dell'ultimo periodo, anche se ieri in conferenza stampa s'è presentato in rosso.

LE FRASI - Guardiola: "Manco dalla Spagna da troppo tempo per sapere come abbia fatto l'Atlético a diventare quel che è. Non sanno solo difendere. Sanno far bene tante cose. Quando oggi affronta Real o Barcellona, non si sa chi sia il favorito. Questo è il suo più grande successo". Simeone: "Come abbiamo fatto? Con molto lavoro e con qualche idea".
Testa o croce, adesso si vedrà.

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