mercoledì 18 maggio 2016

Tenetevi la precocità

PROVATE voi a dirglielo, provate a convincere Pugliesi Maurizio da Capannoli, provincia di Pisa, che passano più o meno intorno ai venti, i migliori anni della nostra vita. Perso dietro il suo sogno infantile, «perché la serie A è il sogno di tutti i bambini», non li scambierebbe di certo con i quasi quaranta che invece si ritrova. Trentanove e centoquaranta giorni per l'esattezza, nel momento in cui Joel Obi, nigeriano del Torino, stacca i piedi da terra, allunga il collo e con la testa colpisce il pallone che dalla destra Zappacosta gli ha buttato un po' alla cieca al centro. Le mani di Maurizio, sarebbe facile far battute sull'età, cedono e il pallone passa. Però che gioia aver finalmente preso un gol in serie A.
Nell'anno dei record, l'ultimo è stato suo. Abbiamo celebrato il quinto scudetto di fila della Juve, come a Torino non accadeva dagli anni Trenta. Abbiamo contato uno dopo l'altro i trentasei gol di Higuaín, rovesciata finale compresa, per veder superati dopo sessantasei anni i trentacinque del signor Nordahl. Più complesso casomai è diventato nei mesi star dietro ai cambi in panchina di Zamparini, perché ai numeri è subentrata la questione filosofica — chi va e poi torna, boh, chissà come si conta — e allora chi dice sette, chi otto, qualche estremista sostiene nove. Comunque un record, e comunque alla fine potrà dire d'aver avuto ragione lui. I minuti senza gol di Sebastiano Rossi sono caduti dopo dodici anni (Buffon, 974'). Tre squadre con almeno 80 punti non c'erano mai state. E poi alla fine eccolo, Pugliesi. L'uomo fuori tempo massimo. Il più anziano a debuttare in serie A quando, come dice lui, «non ci speravo più».
Il 27 dicembre del '76, quando Pugliesi nasce, il Torino ha lo scudetto sulla maglia da sette mesi. Sta viaggiando verso un campionato in cui farà cinquanta punti su sessanta, un anno indimenticabile, nel senso che la Juve quella volta ne farà cinquantuno portandosi via come quasi sempre il campionato, e una cosa del genere non te la scordi più. Così, mentre domenica Pugliesi debuttava in A, sullo stesso prato si materializzava una doppia attesa. Quella del numero uno dell'Empoli, che pur avendo dietro le spalle il segno del portiere titolare, ha dovuto aspettare che prima di lui giocassero tutti, ma proprio tutti, Sepe, Bassi, Skorupski, Pelagotti, dopo aver fatto da tutor a Rimini in passato a Consigli e pure all'interista Handanovic. E poi l'attesa del Torino, che proprio di fronte a sé ne vedeva l'incarnazione, nel corpo di un avversario: vedeva lì tutti i quarant'anni trascorsi senza gloria, o comunque senza la gloria comunemente intesa, giacché come sostiene Pecci «il Toro non può perdere», neppure quando perde.
Poteva debuttare un anno fa, Pugliesi, ultima giornata, a San Siro contro l'Inter. Sarri si irrigidì. Volle i titolari. Meglio così. Non sarebbe stato record. Davanti a Pugliesi sarebbe rimasta la figura mitologica del brasiliano Barbuy, detto Amílcar, per molto tempo ritenuto esordiente nel 1931 all'età di 53 anni, ma solo per un errore nella data di nascita, 1893 e non 1879, ne aveva dunque "solo" 38 e sette mesi. Se c'è da aspettare, meglio goderselo tutto il tempo che passa, come Ranieri per il primo scudetto a 65 anni, Curreri per il primo Sanremo a 63 e Morricone per l'Oscar a 87. Voi tenetevi i vent'anni e la precocità.

(su Repubblica, il 17 maggio 2016)

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