sabato 21 ottobre 2017

Cosa c'entrano le muffe con il Barcellona

Quando Saba scriveva che «il portiere su e giù cammina come sentinella», mentre Pasolini considerava il calcio «l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», nel mondo delle lettere nessuno immaginava che dall'universo dei numeri sarebbero venuti a prendersi il pallone. Da sport narrato a sport analizzato. «Quando la matematica incontra il mondo reale può accadere di tutto», dice David Sumpter, londinese, insegnante di matematica applicata all'università di Uppsala, in Svezia. E cosa c'è di più reale del calcio? «Mettere in pratica una teoria è importante quanto conoscerla. Questa combinazione di teoria e pratica fa del calcio lo sport che amiamo così tanto». Nel tempo libero, Sumpter allena una squadra di bambini. Dice di amare la bellezza astratta delle equazioni e poi sporca la sua matematica con la realtà. Ha lavorato con biologi e sociologi, ha creato modelli quasi per tutto e scomposto il calcio per dimostrare che gli allenatori usano strategie simili a quelle con cui gli uccelli attaccano i vermi, i difensori tedeschi del Bayern si muovono come leonesse a caccia, il Barcellona attacca con le stesse reti che una muffa produce per nutrirsi. Le sue tesi sono in Soccernomics che esce ora in italiano con il titolo La matematica del gol: Sumpter spiega quante probabilità esistono di vedere una rete in un determinato minuto, o come lo schema della "ola" negli stadi sia per noi divertente, e per i pesci una questione di vita o di morte.

Professore, il calcio era materia per poeti e narratori. Com'è finito tra le mani dei matematici?
«Fino a pochi anni fa, un allenatore studiava i filmati, ora accede a migliaia di dati sui calciatori. Una stagione del campionato inglese produce quasi 100 miliardi di numeri. Il suo lavoro è prendere questi numeri e ridurli a poche frasi da trasferire ai giocatori. Ogni club ha un database. Il capo degli analisti del Liverpool ha un dottorato in fisica teorica».
Com'è passato dalla biologia al calcio?
«La matematica non può competere con il calcio, altrimenti pagheremmo 40 sterline al mese per un abbonamento a Sky Matematica e passeremmo i mercoledì a ripassare le disequazioni lineari anziché guardare la Champions. Non si può dire che la matematica non abbia avuto le sue chance, dopo tutte le ore passate a scuola a ricordare le tabelline. Eppure, se fosse stata entusiasmante quanto una partita ce ne saremmo accorti. Io la amo quasi quanto il calcio, ma il calcio tiene insieme le persone. Il mio scopo era spiegare alla gente il potere della matematica, svelare aspetti del mio gioco preferito con la mia materia preferita».
Qual è l'idea di bellezza del calcio per un matematico? Ha a che fare con l'efficacia o con l'emozione?
«Credo che abbia a che fare con la simmetria e con gli spazi. Il bel calcio è un calcio matematicamente elegante. Come quando ci si passa la palla con una triangolazione. Ma la matematica non si occupa solo di efficacia, si possono trovare relazioni scientifiche anche nelle emozioni. Nel libro per esempio spiego il modello con cui si propagano i cori dei tifosi in una curva».
Esiste il calcio perfetto? Pare di capire che lei abbia un debole per il Barcellona.
«Non ero particolarmente affascinato dal Barcellona, ma quando ho iniziato a guardare le geometrie dentro il gioco non ho più resistito. Parlo del Barcellona di Guardiola, la squadra di cinque-sei anni fa: un modello di perfezione matematica. Attenzione però: c'è bellezza anche in una magnifica difesa. Il punto sta nella capacità di gestire lo spazio. Chi attacca lo crea, chi difende lo elimina. C'è matematica in entrambi gli atteggiamenti. L'esempio classico è l'uso delle linee difensive da parte di Mourinho all'Inter. Il seme d'origine è il cosiddetto "catenaccio", l'atteggiamento per il quale voi italiani siete famosi nel mondo: una rete di difensori intorno alla porta, un'organizzazione capace di reggere pure di fronte a sette attaccanti. Anche il catenaccio ha dentro di sé un seme di bellezza matematica».
Chi è l'Euclide del calcio?
«Xavi, Iniesta e Messi sono l'incarnazione della geometria applicata al calcio. Ibrahimovic è Newton per la sua abilità nel colpire la palla in acrobazia, Mourinho una sorta di beautiful mind alla John Nash. L'allenatore più puramente matematico è stato un sovietico degli anni '80, Valerij Lobanovskyi. Era un ingegnere, sviluppò un modello in cui era bandita la ridondanza. I giocatori dovevano fidarsi l'uno dell'altro per contribuire alla creazione di un movimento collettivo perfetto. Costruì una squadra, la Dinamo Kiev, che pensava in termini di stile matematico sovietico. Oggi lo fa il Napoli, straordinario nel ridurre lo spazio dentro la metà campo avversaria, nella ricerca di geometrie migliori e nei movimenti difensivi sincronizzati: ricalca lo schema con cui si muove uno stormo di uccelli o un branco di pesci».
Un calciatore italiano con approccio matematico?
«Pirlo è un maestro. Ha capito la teoria del caos. Se ne sta sempre nell'occhio del ciclone, dove regna la calma, mentre intorno si muovono a ritmo frenetico».
Lei scrive che nel calcio non tutto è prevedibile e suggerisce quattro metodi per scommettere sui risultati. Qual è la funzione del caso?
«Due terzi degli eventi in una partita di alto livello sono figli del caso. Ma la bellezza della matematica consiste nell'avere a disposizione anche strumenti in grado di prevedere il caso. Fare previsioni non significa indovinare un risultato, ma utilizzare la frequenza degli eventi passati per calcolare la probabilità di quelli futuri».
In Italia si sperimenta l'uso della moviola in campo. Cosa pensa della tecnologia applicata al calcio?
«Non mi sono ancora fatto un'opinione ma sono un sostenitore del tempo effettivo. Come nel basket, andrebbe fermato il cronometro quando la palla non è in gioco. Finirebbero tutte le manfrine dei calciatori per perdere tempo».
Riesce ancora a godersi una partita?
«Certo, solo che mi diverto in un altro modo. Guardo i modelli di gioco, gli schemi, penso alle probabilità. Forse perdo qualche emozione, però mi godo il quadro nel suo insieme. In realtà quelli che soffrono di più sono gli amici con cui guardo le partite. Mi siedo in mezzo a loro e discetto delle possibilità che qualcosa accada. Quando c'è una punizione, loro saltano sul divano aspettando il tiro, io gli spiego che esiste solo il 2% di possibilità di far gol da quella posizione. Guardano la partita con una specie di spoiler vivente. Tranne quando gioca il mio Liverpool. Ecco, quando gioca il Liverpool, apro la finestra e butto giù la logica».

(la Repubblica, 14 ottobre)

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